lunedì 26 settembre 2011

Quando vado al Cairo

Quando vado al Cairo parto per un lungo viaggio.

Quando vado al Cairo prendo un pick-up allestito alla bell'e meglio per il trasporto di persone (anziché animali e cose) e raggiungo il villaggio principale, dove salgo su un taxi collettivo che per 10 L.E. (accidenti, è aumentato) mi porta a uno dei capolinea della metropolitana. Prendo la metro cercando di mettere in pratica le mie scarse nozioni rugbistiche per entrare e faccio circa una ventina di fermate prima di scendere.

Quando vado al Cairo non ho l'autista privato e l'aria condizionata, quando vado al Cairo scambio gocce di sudore con l'egiziano medio e osservo.

L'assenza del faccione coi Ray-Ban Aviator di Mubarak dal mega cartellone al solito incrocio, il buco lasciato sulla fermata della metro che porta il suo nome, gli sguardi sfuggenti, laddove prima insistenti, nel vedere una faccia diversa nei mezzi pubblici popolari.









Nei discorsi, oltre ai soliti flus, farah, akl (= soldi, matrimonio, mangiare - punti cardine della vita di ogni egizio), si distingue nettamente la parola thawra (= rivoluzione). Ha quasi soppiantato le altre, è incredibile. Gli è entrata dentro e fa farte della vita quotidiana di ognuno. Niente è più come prima.

Un'altra parola meno piacevole è salafi. Non ne ho visti più del solito, ma sono costantemente nominati da tutti. Sono terrorizzati. Li odiano. Non fanno parte della cultura egiziana, il sentimento che si percepisce è quello della violazione. "Che vogliono da noi?" "Come si permettono?" "Se ne vedo uno sotto casa mia lo picchio." "Non capiscono un cavolo di islam." "Andassero in Arabia Saudita a predicare".

Il problema che sembra preoccuparli maggiormente, perché tutto sommato per la crisi economica ho notato un sano ottimismo, sono i baltagiya (=delinquenti). Gli scippi, gli scassinamenti, le rapine proprio non gli vanno giù, agli egiziani del post-rivoluzione. E io rido.
Welcome in the club dear Egyptians!
Per quanto mi riguarda, da quando sono nata chiudo la porta a chiave, mi tengo stretta al cuore la borsa e non lascio la macchina aperta.


Prima si trovavano in una specie di zona franca legittimata dalla legge d'emergenza e quindi, principalmente, dal terrore. Ora c'è un vuoto che era inevitabile (nonostante si torni in piazza perché tale legge è ancora in vigore, e applicata random), ma poteva andare peggio. Davvero. Ve lo giuro.

martedì 20 settembre 2011

Dove sei stata in vacanza?

C. (di collega) "Bentornata! Dov'è che sei stata, poi?"
M. (di Marghe) "Egitto"
C. "Ah, Egitto, beata te, dove?"
M. "Un po' in giro"
C.  "Ah, hai fatto la crociera"
M. "No"
C. "Ah. E quindi? Beh, sarai andata a Luxor"
M. "No."
C. "Mar Rosso a fare Diving?"
M. "No."
C. "Ah, ok, senti, ti volevo chiedere di questo file....."

Lo so, è più forte di me, sono scorbutica, acida e orsa, ma già è un trauma essere tornata dalle vacanze, in più se devo spiegare l'essenza della mia permanenza in Egitto a tutti i 35 colleghi diventa difficile.
So anche che lo fanno per fare conversazione, in modo carino, ma ho l'impressione che l'Egitto faccia scattare la molla dell'esperto. E non capisco perché. Alla mia collega che è stata in Grecia mica hanno fatto il terzo grado.

Non posso evitarlo, i "ah si', io sono stato a xyz: bellissimo! (che di norma vuol dire Hurgada dopo aver parlato di Suez, ad esempio. Uguale.)", "quel villaggio jkq era proprio un paradiso", "madonna che caldo che faceva nella valle dei re" mi danno l'orticaria.


Non parlo della mia vita privata al lavoro, e l'Egitto fa parte della mia vita privata. Forse dovrei mentire inventandomi una crociera, o semplicemente rilassarmi un po' di più.


Qualche minuto dopo, sviscerato il file:

C. "Allora, faceva caldo?"
M. "Sí"
C. "Ma quanto caldo?"
M. "Dai 34 ai 40"
C. "C'era il sole?"
M. "Sí"
C. "Ma hai portato le piramidi?"
M. "..."
C. "Almeno un po' di sabbia?"
M. "............"