martedì 29 ottobre 2013

Pensieri sconnessi di una disadattata che legge Bilal, di Fabrizio Gatti

Chi viene e chi va.
Chi vuole andare, ma non può.
Chi vuole andare, ma non ha il coraggio.
Chi vuole restare, ma non può.
Chi vuole restare, ma non ha il coraggio.
Chi è partito, ma sogna di tornare.
Chi è partito e non si guarda indietro.
Chi è tornato, ma rimpiange di averlo fatto.
Chi è tornato e rimpiange di essere partito.

E mille milioni di altre sfumature.

Ma non è così che si è sempre mosso il mondo? Andare e conquistare o restare e difendere. E i mille milioni di altre sfumature tra i due estremi, che sono poi forse le facce della stessa medaglia. Alcuni miei corregionali si attaccano al campanile per difendere il territorio dall’invasione islamica e guardano con diffidenza i personaggi un po’ hippie che vivono all’estero. Partiti per conquistare un posto di lavoro o per soddisfare una curiosità.
Che poi estero. Per quanto euroscettici possiamo essere diventati, ci consideriamo veramente così diversi da uno spagnolo o un tedesco? Sì, le differenze ci sono e grazie al cielo, ma non ditemi che quando vi trovate a Parigi avete la stessa sensazione di quando siete a Colombo.

Partire è sempre un po’ morire. Lo è per una mamma che, in preparazione dell’unica settimana di vacanza annuale, deve occuparsi di valigie e vettovaglie per quattro o cinque persone e ricordarsi anche di chiudere il gas, ma lo è anche per chi la vita la perde davvero tentando la traversata della vita, scappando dalla guerra o semplicemente cercando un futuro migliore.
Partire è anche un po’ rinascere. Per me, che ho il trolley come coperta di Linus e per chi riesce anche solo a sperare in un futuro migliore.


“Ma resterai lì per sempre?”
Ma come fai a fare certe domande? Non so neppure a che ora uscirò dal lavoro stasera e mi fai una domanda sul per sempre? Ma io ti ho mai chiesto se lavorerai alle Poste per sempre? Ah già, forse l’ho dato per scontato. Hai ragione. Mea culpa. Forse sono io che ti ho sottovalutato. Però pensavo che fossi felice con il tuo posto di lavoro a tempo indeterminato e il tuo mutuo a tasso fisso. Eh, mi pareva. Era quello che volevi, no? Cavolo, sono felice per te. Quindi rimarrai alle Poste per sempre? Sì, certo, magari un giorno diventerai direttore, te lo auguro.
No, non ho un contratto a tempo indeterminato. In effetti sono in affitto, sì. Torno spesso in vacanza, a trovare la mia famiglia. Certo, mi mancano, ma li sento spesso. Lo so, non è la stessa cosa, ma anche loro vengono spesso a trovarmi. No, non è così lontano, solo un’ora e quindici minuti di volo. Mi mancano i bar e i funghi porcini.
Non lo so se tornerò mai a lavorare in Italia. Dipende. Mah, suppongo dall’occasione, dalla contingenza, dalla necessità. Magari andrò a Singapore o a Minneapolis o a Harare. Anche se ti sembro pazza devi proprio assumere quello sguardo di disapprovazione? Non sto dicendo che tu hai scelto male e io bene, sto solo dicendo che io non ti giudico. Non commento. Non sgrano gli occhi. Vengo dal tuo stesso background e capisco il tuo punto di vista. Non lo condivido, o forse semplicemente non è arrivato il mio momento, ma vuoi scendere dal piedistallo?
Ci sono stati un paio di momenti in cui ho pensato “ok, mi fermo”. Ma poi sono sempre ripartita. Sarò anche una disadattata, come probabilmente pensi, ma giuro che non sporco e non faccio del male.

Adesso capisco.

Se i miei piccoli spostamenti dettati dalla voglia di crescere e sperimentare, resi facilissimi dal mio passaporto bordeaux, destano questi turbamenti, come posso aspettarmi che tu possa minimamente cercare di comprendere le motivazioni che portano un somalo a prendere la via del deserto e poi del mare per cercare una chance?
Probabilmente mi risponderai che il somalo non ha nessun visto nel suo passaporto, forse non ha neanche passaporto, che probabilmente sporca e che quasi certamente farà del male. E io, nella mia piccolezza e nella mia follia di giramondo (magari), come posso confutarti? Se non vieni nemmeno verso la mia stranezza, come puoi spingerti verso la diversità più totalizzante?
Mi spiace, ti devo archiviare fra quelli “che non ci arrivano”. E non è un complimento. Io mi offenderei. Te lo dico da amica.
Leggiti questo libro.

giovedì 30 maggio 2013

Un conflitto sul Nilo (?)


Nonostante la mia indole rivoluzionaria, ho sempre sostenuto che Mubarak fosse un genio della politica estera. Non è facile  fare i vicini di casa dello stato d'Israele e avere un rapporto contraddittorio con la causa palestinese. La posizione geopolitica dell'Egitto non concede leggerezze a chi lo governa, e la credibilità internazionale durante la sua trentennale dittatura era piuttosto elevata, anche se non sempre per nobili motivi.
Mentre, però, Mubarak faceva il bello con i vicini di casa "importanti" e le controparti "occidentali", riduceva in miseria e nel buio dell'ignoranza il suo popolo e sorvolava su un piccolo dettaglio di importanza fondamentale: l'acqua, e, nello specifico, il Nilo.

"Se l'Egitto è un dono del Nilo, il Nilo è un dono dell'Etiopia", dicono gli Etiopi. Ma la questione non coinvolge solo i paesi appena citati, che sono due dei dieci stati rivieraschi insieme al Sudan, Sud Sudan, Kenya, Uganda, Tanzania, Ruanda, Burundi e Repubblica Democratica del Congo.

L'Egitto, con la sua superiorità demografica, politica ed economica, ha sempre goduto dei vantaggi stabiliti dall'accordo del 1929 tra Gran Bretagna ed Egitto, in cui gli garantiva utilizzo quasi esclusivo delle acque del fiume, riservando però delle quote al Sudan, all'epoca protettorato britannico. Questo accordo sanciva pieno potere al Cairo su qualsiasi progetto riguardante lo sfruttamento del Nilo, anche se proveniente da un altro stato rivierasco ( http://temi.repubblica.it/limes/nella-battaglia-del-nilo-letiopia-sfrutta-la-debolezza-egiziana/24951)

Nel 1959, una convenzione tra Egitto e Sudan rivede l'accordo del 1929:  cominciati i lavori sulla diga di Assuan che sarà poi terminata nel 1970, l'Egitto concede al Sudan ulteriori metri cubi d'acqua per lo sfruttamento del Nilo.

Volendo usare un appellativo tristemente moderno, Sudan ed Egitto non sono che gli utilizzatori finali delle acque del fiume più lungo del mondo, e aver snobbato deliberatamente gli altri paesi rivieraschi non gioca a loro favore. In particolar modo l'Egitto, forte della sua popolazione in costante crescita che ha ormai raggiunto i 90 milioni, non si può permettere di scherzare con un paese che, a differenza sua, è stabile e ha un'economia con forti possibilità di crescita. L'Etiopia con il suo Nilo Azzurro, infatti, fornisce l'85% delle acque del Nilo (le restanti provengono dal Nilo Bianco che sgorga dal lago Vittoria in Uganda).

Da sempre, questi utilizzatori finali hanno avuto potere decisionale sulle acque di un fiume che passa in altri otto stati. Questi otto stati (sette, prima della nascita del Sudan del Sud nel 2011), cercando di avere una voce in capitolo nella gestione e nello sfruttamento del patrimonio idrico del Nilo, si sono organizzati in una Iniziativa del Bacino del Nilo (IBN), fondata del 1999 e volta alla revisione dei trattati del 1929 e del 1959, con la proposta di un uso equo e ragionevole delle acque del fiume e uno sviluppo socioeconomico sostenibile dell'intero bacino.

Dalla IBN nasce il Cooperative Framework Agreement (CFA), che dovrebbe ufficializzare il programma dell'IBN, ma che trova difficoltà a realizzarsi proprio per l'opposizione dell'Egitto, che si tiene saldo alle garanzie totalitarie dei trattati di epoca coloniale. 

Soprattutto l'Etiopia, a causa anche di conflitti atavici con l'Egitto risalenti all'epoca faraonica e proseguiti poi dalle lotte religiose tra i re cristiani dell'una contro i sultani musulmani dell'altro, freme per emanciparsi e volgere così il controllo delle acque che sgorgano dal suo territorio alla produzione di energia elettrica.

Mubarak negli ultimi 25 anni del suo governo non si è mai recato ad Addis Abeba, sicuro al caldo degli antichi trattati. Questa "distrazione" gli è costata la coalizione dei paesi rivieraschi a monte del Nilo contro l'Egitto e il Sudan nella firma da parte di sei stati rivieraschi del Cooperative Framework Agreement sulla gestione delle acque del fiume, in una riunione di Sharm el Sheikh nel 2010.

Caduto il dittatore, ci ha provato il primo Ministro del dopo-rivoluzione Essam Sharaf nel maggio 2011. Grande passo avanti dopo un quarto di secolo di silenzio.

Ci ha riprovato Morsi a gennaio di quest'anno e in questi giorni, in occasione di summit internazionali. Le relazioni bilaterali tra i due paesi, però, continuano ad essere trascurate.
Addirittura un cablo di Wikileaks del 2012, smentito dagli interessati, rivela che l'Egitto e il Sudan progetterebbero un attacco aereo per sabotare la diga etiope.


http://www.egyptindependent.com/

La diga della Grande Rinascita (Grand Renaissance Dam), progettata per essere la più grande dell'Africa, ha appunto in questi giorni inaugurato i lavori con la deviazione dell'acqua del Nilo Azzurro. 
L'Egitto e il Sudan sono contrari alla sua  costruzione perché temono la diminuzione di apporto d'acqua nei loro paesi, quasi totalmente desertici. 

Nonostante le rassicurazioni del governo etiope e di alcuni esperti che, data la stagionalità delle piogge, vedrebbero dei vantaggi nell'accumulo delle acque al di là della diga per una più equa distribuzione, gli antichi quasi esclusivi depositari di questa risorsa idrica si trovano in una posizione di debolezza e fragilità, oltre che di credibilità politico-strategica ed economica nella zona e nel mondo.

Questi progetti mastodontici, a causa del loro impatto concreto e agli interessi delle varie controparti  finanziarie sono mostri capaci di sovvertire le dinamiche ambientali e politiche degli stati coinvolti. Soprattutto quando è l'acqua ad essere coinvolta. I paesi del bacino del Nilo, ad esempio, sono tra gli ultimi in classifica per approvvigionamento e accesso all'acqua.

Sadat, nel 1979, disse "L'unica questione che può trascinare di nuovo l'Egitto in guerra è l'acqua".

giovedì 4 aprile 2013

Guerra santa in topless


Foto tratta da https://www.facebook.com/Femen.UA?fref=ts


Devo essere sincera, non ho mai seguito le scorribande del movimento Femen.
La visione di una manciata di donzelline urlanti a seno nudo in mezzo alla neve mi ha sempre trovata disinteressata. Sarà snobismo o sarò una bacchettona, ma rivendicare i diritti delle donne spogliandosi mi sembra un nonsense.
Non che io sia per bruciare i reggiseni, anzi, w il push up, ma è l’assunto di base che per me è sbagliato.
Partiamo dal fatto che la società è maschilista e poi, per mostrare quanto siamo emancipate ci lanciamo a tette al vento? Forse non ci arrivo, ma non volevamo essere considerate per il nostro cervello? Aiutatemi, mi manca un passaggio. Dicono: “L’unico modo per farci ascoltare nel nostro paese è quello di metterci in topless”. Complimenti. Fomentate, allora.

Il top però arriva adesso. Il movimento Femen si estende al mondo arabo, o meglio, la famosa Amina si fa fotografare nella ormai nota tenuta da combattimento delle neo-femministe e il caso si scatena.
Dove sarà Amina? Salviamola dalla lapidazione. La povera è stata rinchiusa in un ospedale psichiatrico dove praticano l’elettroshock.

Tralasciando il fatto che la lapidazione in Tunisia non esiste e che la ragazza è a casa con i suoi (che probabilmente non la fanno uscire di casa, data la presenza di fanatici barbuti dalle dubbie intenzioni), mi sembra davvero poco necessario e alquanto (anche semanticamente) scorretto chiamare un’azione dimostrativa “topless jihad”.

Se trovo fuori luogo le tipe seminude dove il movimento ha avuto luogo proprio perché dal mio punto di vista non fanno che confermare ciò che dicono di combattere, vederle in azione in Tunisia, o meglio, farsi paladine della lotta contro gli islamisti è totalmente fuori contesto. È voler fare tabula rasa di tutte le femministe che lottano e ottengono sempre più risultati da decine di anni, è non essersi fermate a pensare nemmeno un attimo. È, al solito, ignoranza e superficialità.

Probabilmente Amina è un’esibizionista con tutto il diritto di esserlo e non temere di essere punita da un pazzo islamista quando esce di casa, per carità, ma adesso non mi sento di appoggiare le manifestazioni in suo supporto davanti alle varie ambasciate arabe. Estremismo genera estremismo.

E poi, insomma, il topless non era passato di moda da un decennio? E ancora nessuno l’ha capito che la traduzione di jihad non è “guerra santa”? In fondo, basta andare su Wikipedia, non servono studi arabisti.

Per un esempio di sano femminismo arabo, questa, The uprising of women in the Arab world  انتفاضة المرأة في العالم العربي è una pagina Facebook molto interessante. A partire dal logo qui sotto, molto bello: i capelli della ragazza disegnano la cartina del mondo arabo, appunto.


Foto tratta da https://www.facebook.com/#!/intifadat.almar2a

Il vero cambiamento ci sarà quando le donne saranno messe al centro della società: quella sarà la vera rivoluzione culturale. Bisogna aiutare le donne a uscire dalla condizione di subire la violenza in silenzio potenziando le case-famiglia e i centri di ascolto, ma è altrettanto importante rilanciare l'occupazione femminile perché una donna che ha un proprio reddito è più libera [...]. E quando le donne lavorano, la produzione aumenta'”. La presidente della Camera Laura Boldrini, in un'intervista al Sole 24 Ore di oggi.

venerdì 22 marzo 2013

Be yourself. Everyone else is already taken.



Be yourself. Everyone else is already taken.

Diceva Oscar Wilde.

Bullshit, rispondo io.

Invece devi essere come tutti gli altri, perché se non sei omologato dai fastidio, sei scomodo. Irritante.

La coroncina della prima comunione andava messa a mo’ di cerchietto e non stile hippie, Marghe, hai fatto venire un infarto alla suora che invano tentava di metterla come alle altre bambine, non rendendosi conto che era incastrata in una mezza treccia (hippie, appunto).

Non puoi prendere il treno con i locali per fare 30 km di viaggio da Pinwatta a Colombo, è sconveniente.

Mangi il salato dopo il dolce… ma chi te l’ha insegnato?

E’ riprovevole non voler festeggiare il tuo compleanno. Devi farlo.

Com’è possibile che tu ti adatti a vivere ovunque senza il pensiero di ritornare in pianta stabile in Italia. E’ insano. Fatti curare.

Se io ho un’immagine di te sempre vestita di nero non puoi arrivarmi un giorno vestita di verde. I tacchi? E da quando in qua porti i tacchi, adesso? Oh. Una gonna. Era ora!

Non vai in vacanza ad agosto? Il prossimo anno, per favore, vedi di organizzarti convenientemente.

Come ti permetti a non postare link melensi, del resto si suppone che tu abbia un marito e dei genitori, no? Santifica le feste di S. Valentino e S. Giuseppe e la prima domenica di maggio (???). Metti qualche cuoricino, scrivi qualche poesia, oppure posta una di quelle immagini fiabesche con una dedica strappalacrime. What’s wrong with you???? Sei una cinica corazzata, e non devi. Non devi.

E ovviamente le cose serie non le ho menzionate per questione di privacy ;)

Too much of a good thing
Has really burnt me out
I'm sick of satisfaction
And living in a drought

sabato 16 marzo 2013

Quant’è profana l’unione tra il sangue e il cielo.



Vennero,
portavano su un piatto rosso la testa dell’orizzonte.
Anche il miraggio fu evocato,
scendeva lontano in un deserto non lontano.
Labbra battevano come fossero campane,
un alchimista distillava l’elisir di lunga vita,
e il sale combatteva il pane.
E’ il banchetto!
sotto un cielo che riversava nettare
in calici simili a teste di morto.
Quant’è profana l’unione tra il sangue e il cielo.

(Adonis - Siggil)

Da qualche tempo una nuvola di questioni mi occupa la testa. Un groviglio intricato e denso, tinto di rosso, affanna la mente oltre che il respiro. Da una parte il colore, dall'altra il grigio. Percorro nuove vie, cerco nuovi modi, mio malgrado mi trasformo. Osservo la muta della pelle che lentamente si distacca, morta, e mi sembra non abbia mai veramente fatto parte di me. Tutto cambia, nulla è cambiato. Mi illudo di scegliere, di poter tenere ogni cosa nel pugno chiuso, stretto, in realtà lascio che ogni cosa avvenga e basta. Osservo la testa e la croce che si alternano sospese nell'aria senza mai toccare terra. Perdo il contatto con la terra. Assetata di leggerezza mi carico di un peso sul cuore che mi tiene ancorata qui, ferma sempre nello stesso punto. Immobile. 
Ho sete.
Portatemi da bere.
Mi guardo riflessa nello specchio, senza trovare il coraggio di rispondermi.
Quant'è profana l'unione tra il sangue e il cielo?

lunedì 25 febbraio 2013

Sono schifata


  • Dal votare col naso tappato
  • Dalla gente che non si lava
  • Dalle lamentele continue
  • Dalle proteste delle donne che fanno notizia solo perché sono in topless
  • Dai link melensi su Facebook
  • Da chi è contro l'utilizzo delle cellule staminali per la cura di malattie gravissime
  • Da chi fonda una campagna elettorale sull'odio e sulla paura
  • Dalla gente che ti guarda ma non ti saluta e distoglie lo sguardo prima che lo faccia tu
  • Dalle mie occhiaie
  • Da chi entra in metro e si ferma sulla porta
  • Dalle "malattie" sine causa e soprattutto sine solutio
  • Dai sandali coi calzini
  • Dai Fratelli Musulmani
  • Dagli status su Facebook ogni 2 minuti... Per quello c'è Twitter, cambiate social network 
  • Dalle colleghe che vogliono essere tue amiche per sapere i fatti tuoi
  • Dalla mia pigrizia
  • Da Berlusconi e tutto ciò che rappresenta
  • Dalla maleducazione
  • Dai complimenti fuori luogo 
  • Da chi cerca i complimenti
  • Dal blocco del polpastrello che fa dormire uno spazio nato per la libera espressione di liberi argomenti, ma che per mille motivi giace inerme e piccolino nella blogosfera.